martedì 31 luglio 2007

Recensione: Uno zoo in fuga


TITOLO ORIGINALE:
The Wild
NAZIONE: USA
GENERE: Animazione
DURATA: 94 min.
DATA DI USCITA: 2006

Samson, sedicente leone della savana e leader dello di New York, ha qualche conflitto con il figlio Ryan, che finisce su un container in partenza per l'Africa. Il padre, insieme al koala Nigel, alla giraffa Bridget, allo scoiattolo Benny e al serpente Larry, s'imbarca per andare a recuperarlo. Un'uscita equivocamente troppo simile a Madagascar. Mentre il film della Dreamworks si muoveva con intelligenza e ironia tra citazioni cinematografiche e musicali, ammiccando anche al pubblico più adulto, a casa Disney resiste la convinzione autolesionista di utilizzare il pop contemporaneo in funzione eccessivamente emotiva. E l'insistenza nel voler riverniciare di modernità una concezione datata delle storie. Il riferimento è alla parata finale con gli animali che accennano passi brack e hip hop, ma si potrebbe aggiungere che non basta mostrare una partita di tartacurling per essere divertenti. E poi, la rivendicazione degli gnu, ingiustamente relegati alla fine della catena alimentare dallo storica predominio leonino, francamente avvince poco. Portatore sano di "messaggio" ("è quello che hai dentro che determina chi sei") ma terribilmente fuori tempo massimo.

VOTO: 5

Recensione: UltraViolet


TITOLO ORIGINALE:
Ultraviolet
NAZIONE:
USA
GENERE: Fantascienza
DURATA: 88 min.
DATA DI USCITA:
2005
REGIA: Kurt Wimmer
CAST:
Milla Jovovich, Cameron Brigth, Nick Chinlund

UltraViolet, dove la violetta del titolo altri non è che Milla Jovivich, coinvolta in una sorta di videogame futuristico che strizza l'occhio a Resident Evil e scopiazza Underworld. Uno sparatutto dove il joystick è nelle mani dei realizzatori, gli unici forse a divertirsi, certo non nel pubblico. Violet è una emofoga, neovampira in cerca di una cura. Questa cura è la stessa di X-Men: Conflitto finale, nel senso che se la porta appresso il medesimo bambino, Cameron Brigth. Incredibile vero? E questo è niente. Il film è composto da una serie di interminabili combattimenti calati in una estetica che oscilla tra lo spot glaciale di un amaro trendy e il videogioco da bar. I corpi degli attori ritrattati al computer così da risultare simili ad abbondanti animazioni digitali. Un flipper, un immaginario pixelato dove il cinema non si capisce dove stia, certo non nel racconto e tanto meno nella messa in scena. Milla è brava, lo sappiamo, ma se si butta via con robaccia simile si potrà solo dire che ha un gran futuro alle spalle.

VOTO: 3

lunedì 30 luglio 2007

Recensione: The Libertine


TITOLO ORIGINALE:
The Libertine
NAZIONE:
Gran Bretagna
GENERE:
Drammatico
DURATA:
110 min.
DATA DI USCITA:
2004
REGIA: Laurence Dunmore
CAST:
Johnny Depp, Samantha Morton, John Malkovitch

Si definiva l'uomo più selvaggio e fantastico sulla faccia della terra John Wilmot, conte di Rochester alla corte di Carlo II, personalità talentuosa e scellerata del XVII secolo, che tentò di trasformare Londra della seconda metà del '600 in una sorta di Swinging London degli anni '60. Genio e soprattutto sregolatezze, amante indefesso, autore di un'opera che tanto somiglia a Lisztomania di Ken Russel, con enormi falli in scena usati come asce di guerra contro i poteri costituiti. Un provocatore, un giovane (morì all'età di 33 anni) che tentò di spostare le linee di demarcazione, i limiti e i perimetri del senso e dei propri sensi, ingurgitando vino e quant'altro lo facesse sentire vivo. Tratto dalla pièce teatrale di Stephen Jeffreys (autore della trasposizione), The Libertine segna il debutto sul grande schermo dell'acclamato regista inglese di video musicali Laurence Dunmore. Un'opera prima intinta nel buio e nel fango, nell'uggiosità e negli umori carnali come fosse un noir (non a caso è il fantasma di Wilmot che narra la breve ma intensissima esistenza accecata dalla passione e sedotta dal peccato del conte), dentro il quale Johnny Depp sguazza come una pantegana che si beffa del traffico umano e non umano, rilanciando la sua griffe violentemente dark. Un attore che ha tutta l'aria di essere sull'orlo di una simpatica, non ricercata, elegante grandezza.

VOTO: 8

Segnalata su Punto-Informatico

Queste sì che sono soddisfazioni :)

Punto Informatico, l'evoluzione della rete


domenica 29 luglio 2007

Recensione: La sconosciuta


NAZIONE:
Italia
GENERE:
Drammatico
DURATA:
118 min.
DATA DI USCITA:
2006
REGIA: Giuseppe Tornatore
CAST:
Ksenia Rappoport, Michele Placido, Claudia Gerini, Margherita Buy, Alessandro Haber

Se quello che tutt'oggi risulta ancora essere il capolavoro di Giuseppe Tornatore, Nuovo Cinema Paradiso, è la rappresentazione di un magico empireo aggrovigliato in meravigliosi ricordi cinefili e d'infanzia e Una pura formalità riproduce un immaginario Purgatorio, La sconosciuta si cala senza remore in un malato e putrido inferno. Una sorta di chiusura di un'ideale trilogia in cui passati e presenti si incrociano e si rincorrono, si confondono e si penetrano gli uni negli altri. L'autore siciliano non realizzava opere dal 2000 e forse per questo lo ritroviamo così ipertrofico e voglioso di mettere in scena molto, di musicare anche gli angoli (la colonna sonora di Ennio Morricone è bella ma un pò ingombrante), di stratificare fino al parossismo la dolorosissima e violentissima vicenda di un'ucraina in affitto, costretta dal suo laido pappone (uno strepitoso Michele Placido calvo e glabro) a sfornare bambini per le coppie ricche dell'Occidente. C'è, nella prima parte, una Trieste cupa ed enigmatica, e tracce di Hitchcock e di paure ancestrali. E c'è, soprattutto, uno straordianario ritratto di donna, Irena, nella migliore tradizione del percorso del regista (dalla Laura Del Sol del Camorrista alla Monica Bellucci di Malèna), che lotta e s'ingegna nell'utopistico sforzo di cambiare i connotati a un destino inesorabilmente segnato. Tornatore sa narrare come pochi in Italia e davanti a La sconosciuta si pensa a Volver di Almodòvar. La fluidità di racconto è quasi perfetta, solo qualche sbavatura, qualche minuto di troppo. Si entra nel film in pochissimi istanti, scaraventati da una forza centripeta che con afflizioni e pene (e un cinema forte e compatto, sicuro e spavaldo) ti accompagna in un regno di morti viventi e di mostri attraverso un Caronte cinico e spaventoso. La scelta di Ksenia Rappoport - nata a San Pietroburgo e in scena dalla prima all'ultima inquadratura nel ruolo della protagonista - si è rivelata felicissima: un'attrice solo per noi inedita (in patria ha un curriculum gonfio d'esperienze), dai bellissimi capelli intorcigliati. Puntualissimi i camei di Claudia Gerini, Pierfrancesco Favino, Piera Degli Esposti, Alessandro Haber, Margherita Buy, Angela Molina e della piccola Clara Dossena.

VOTO: 9

sabato 28 luglio 2007

Recensione: Pasolini prossimo nostro


NAZIONE:
Italia
GENERE:
Documentario
DURATA:
120 min.
DATA DI USCITA:
2006
REGIA: Giuseppe Bertolucci

Salò o le 120 giornate di Sodoma rimane, a più di trent'anni dalla sua uscita, un film agghiacciante e misterioso, un testamento apocalittico e cupo reso ancora più angosciante per l'assassinio dell'autore avvenuto pochi giorni prima della sua uscita. Adesso Giuseppe Bertolucci ci aiuta, con questo lucido e appassionato film, a gettare una nuova luce sul capolavoro postumo del regista friulano. Pasolini prossimo nostro (il titolo è ispirato al saggio di Pierre Klossowski Sade mon prochaine citato da Pasolini nei titoli di testa di Salò) è un oggetto difficilmente classificabile: Bertolucci ha selezionato moltissime foto di scena del film (tra le 8000 scattate dalla fotografa Deborah Imogen Beer) ricostruendo la genesi e la lavorazione di Salò scomponendolo in immagini fisse e utilizzando come flusso sonoro di pensieri diverse interviste concesse da Pasolini, a partire dai tardi anni '60 fino al '75, al critico tedesco Gideon Bachmann. Il risultato è emozionante e sconvolgente allo stesso momento. Le parole di Pasolini appaiono ancora oggi attuali nella sua tragica disperazione (contro il potere, il denaro, la merce, il sesso, la storia) e la discrezione di Bertolucci, che non manipola mai l'oggetto della sua ricerca e lascia l'ipnitica assertività pasoliniana sempre ben al centro dell'attenzione, dona al film un'intensità che ce lo fa vedere con occhi attenti e quasi senza respito.

VOTO: 8

Recensione: Tom White


TITOLO ORIGINALE:
Tom White
NAZIONE:
Australia
GENERE:
Drammatico
DURATA:
106 min.
DATA DI USCITA:
2004
REGIA: Alkinos Tsilimidos
CAST:
Colin Friels, Rachael Blake, Bill Hunter

Un architetto di Melbourne con moglie e figli e una vita apparentemente perfetta, soffre in realtà di una profonda crisi motivazionale. La lite con il collega che lo vuole estromettere da un progetto edilizio è la goccia che fa traboccare il vaso. L'occasione, insieme, per lasciarsi alla spalle la sua "vecchia" identità e ricominciare una nuova esistenza: lascia la famiglia, si rende irrintracciabile e trova ospitalità, consigli e calore da una serie di personaggi ai margini, che lo aiutano a capire chi è e gli insegnano ad amare: un gay marchettaro, una ex tossica, un barbone e la sua compagna, un ragazzino graffitaro disadattato. Ricognizione con ambizioni filosofiche sui temi della maschera e dell'identità, affidata per lo più alla versatilità di un camaleonte come Colin Friels, uno dei più dotati e meno utilizzati attori australiani (anche se nel cast spicca soprattutto l'esperto, leggendario Barry Otto, un homeless che dà i brividi). La regia soffre di una certa ripetitività e la sceneggiatura tradisce una certa letterarietà, ma il delicatissimo gioco di equilibrio tra pazzia e legittimo disorientamento di una vita difficile è affrontato in modo originale. Peccato solo che il doppiaggio italiano appiattisca tutto o quasi, come in una telenovela brasiliana anni '80.

VOTO: 7 1/2

venerdì 27 luglio 2007

Recensione: En Soap


TITOLO ORIGINALE:
En Soap
NAZIONE:
Danimarca
GENERE:
Drammatico
DURATA:
104 min.
DATA DI USCITA:
2006
REGIA: Pernille Fischer Christensen
CAST:
Trine Dyrhlom, David Dencik, Frank Thiel


Un rapporto di bizzarro vicinato esaminato al microscopio, in cinque segmenti: Charlotte, in crisi con il suo compagno, si è appena trasferita e non sa cosa vuole. Veronica in realtà è Ulrik, transessuale in (drammatica) attesa di operarsi, vive con la cagnetta Miss Daisy, si prostituisce occasionalmente e vive barricata in casa, a parte qualche rara visita della madre (il resto della famiglia ha tagliato con lei). Con una freddezza e un realismo che non rincorrono neanche per un momento la tentazione del voyerismo, tutto si gioca in due appartamenti e quattro personaggi. Il film della danese Pernille Fisher Christensen, e' fatto di sospensione. Dalla credulità, dalle scelte sessuali, dalla decisione e dalla voglia stessa di prenderle. Il titolo è metadiscorsivo, rimanda al ritmo, dilatato, quasi circolare, e all'interazione emozionale che s'instaura (tra e) con i due protagonisti. Due anime fragili come lo sono quelle dei veri forti, alla ricerca, difficilissima, di ciò che le sceneggiature migliori possono solo suggerire, come in questo caso. Eccezionali i due interpreti, cui è affidato un tour de force nevrotico ad altissimo rischio. Premio della Giuria a Berlino 2006
VOTO: 7 1/2

giovedì 26 luglio 2007

Recensione: V per Vendetta


TITOLO ORIGINALE
: V for Vendetta
NAZIONE
: USA
GENERE:
Fantascienza
DURATA
: 115 min.
DATA DI USCITA
: 2005
REGIA:
James McTeigue
CAST:
Natalie Portman, Hugo Weaving, Stephen Rea

In un futuro prossimo un regime totalitario opprime Londra. Un vendicatore di nome V si nasconde, mascherato da Guy Fawkes, l'eroe popolare impiccato nella storica congiura delle polveri del 1605 per far esplodere il Parlamento. Colto e galantuomo, V salva la giovane Evey dalle violenze di alcuni sbirri e vuole vendicarsi del regime che preseguita stranieri, omosessuali, oppositori (ispirato agli autori della gestione Thatcher) e ribadire il principio di libertà e la forza delle idee. Ispirato al fumetto di Alan Moore e David Lloyd e diretto da James McTeigue, regista di seconda unità, tra gli altri, per Dark City di Proyas e primo assistente dei fratelli Wachowsky, che qui producono con Joel Silver, per la trilogia di Matrix. Girato quasi totalmente in interni (in Germania) a ribadire la claustrofobica angoscia della graphic novel, in quello che è sbandierato come il film più politico mai prodotto da Hollywood il motivo antiautoritario rimane schiacciato dal confronto con una realtà ben più articolata. La confezione pop che frulla Il conte di Montecristo al Fantasma del palcoscenico, Shakespeare a Zorro, Orwell a Bradbury e il fragore di un palazzo che salta in aria sulle note di Street Fighting Man non bastano a compensare la staticità generale della storia e la pesante verbosità di fondo. E di una Portman che si limita ad essere androgina, meno espressiva di Weaving perennemente in maschera.

VOTO: 6 1/2

Recensione: Romance and Cigarettes


TITOLO ORIGINALE
: Romance & Cigarettes
NAZIONE
: USA
GENERE:
Commedia
DURATA
: 115 min.
DATA DI USCITA
: 2005
REGIA:
John Turturro
CAST:
Susan Sarandon, James Gandolfini, Kate Winslet, Christopher Walken

Strano film il terzo da regista di John Turturro, che ama le sue origini italiane ed operaie, le emozioni, il cinema familista e gli attori. Caratteristiche che si rintracciano indelebilmente anche in Romance & Cigarettes, evoluzione sociomusicale del suo debutto, Mac. Una donna scopre che suo marito la tradisce con una rossa mozzafiato che fa di volgarità virtù. L'emisfero in cui è imbevuto è il Queens: la Grande Mela accompagna sullo sfondo le vicende umane, i personaggi bizzarri, le contaminazioni canzonettistiche (c'è perfino Quando m'innamoro di Anna Identici), gli afflati poetici, le ispirazioni di Charles Bukowsky e di Springsteen, James Brown, Janis Joplin e Tom Jones, che paiono aver scritto i brani musicali usati nella pellicola per l'occasione tanto puntualmente contrappuntano la narrazione. Presentato come solare e ritmato, ha in realtà risvolti tragici e ambizioni da Onlus: il più potente spot antifumo della storia giocato subliminalmente, con morte per cancro ai polmoni incorporata. Turtutto ha l'ansia di chi vuole dire troppe cose tutte insieme. Ed è un peccato. Perchè Kate Winslet è una Tula indimenticabile, Gandolfini un Nick Murder (occhio al cognome) di raffinata maestria, Susan Sarandon una Kitty Kane orgogliosamente offesa e i camei di contorno davvero strepitosi, a cominciare dal Cugino Bo di Christopher Walken. Colonna sonora da comprare. Regia rimandata a settembre.

VOTO: 6 1/2

Recensione: Padre Pio


NAZIONE
: Italia
GENERE: Animazione
DURATA
: 88 min.
DATA DI USCITA
: 2006
REGIA:
Orlando Corradi, Jang Chol Su

Questa animazione di Orlando Corradi e Jang Chol Su è a dir poco bizzarra. Distribuito dalla Moviemax di Rudolph Gentile e Marco Dell'Utri (quella di Donnie Darko e di Terkel) prodotto dalla Mondo Tv del coregista Corradi, pioniere nell'importare il cartone giapponese in Europa, è un'incongrua ibridazione di tecnica sorpassata e catachesi a uso e consumo degli insegnanti di religione (c'è pure un cameo di Wojtyla, qui vescovo di Cracovia). Qui si segue infanzia e vocazione di Francesco Forgione (dal 1899 alla morte, nel 1964) pastorello del Sud, fino all'ingresso fra i francescani come Frate Pio da Pietralcina, i voti sacerdotali e la manifestazione di prodigiosi eventi come le stimmate oltre alla carità dell'assistere i malati. Non senza ostacoli: un demone lo tormenta, aggravandone la salute malferma, la Chiesa ufficiale mal tollera il suo successo fra i fedeli. Pio ha una fede incrollabile (mai approfondita) e volontà ferrea nel costruire la Casa sollievo della sofferenza. Frasi fatte, cristianesimo da santino, tutto superficiale, animazione obsoleta. Marcellino pane e vino era più onesto e, a confronto, pare Bergman.

VOTO: 4

Recensione: ...E se domani


NAZIONE
: Italia
GENERE: Commedia
DURATA
: 90 min.
DATA DI USCITA
: 2006
REGIA:
Giovanni La Parola
CAST:
Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Sabrina Impacciatore

Ispirato a un fatto di cronaca nera e vera (il Caso Gargano, trasferito in libro da Armando Cirillario), ...E se domani racconta la storia di un trentenne sognatore, immigrato siciliano in una città del Nord, innamorato perdutamente di Ketty che però sposa il suo migliore amico, nonchè socio in affari. Sorprendiamo la vicenda nell'imminenza del suo epilogo, quando l'uomo è barricato in una banca e tiene in ostaggio clienti, impiegati e direttore, chiedendo in cambio soldi e un elicottero per poter volare via. In realtà ambisce al gesto simbolico ed eclatante: gettare dal cielo migliaia di banconote e farla in barba (per qualche secondo) al capitalismo. Il protagonista si chiama Mimì, come il metallurgico di Giancarlo Giannini nel film omonimo di Lina Wertmuller, che gli autori e soprattutto Luca Bizzarri saccheggiano a mani basse. L'intento sarebbe la commedia grottesca (appunto) ma la timidezza dell'animo televisivo che pervade l'operazione impedisce ai toni di presentarsi nella lora faccia feroce. Malgrado gli sforzi (bravi gli interpreti, e soprattutto Sabrina Impacciatore, e volenterosa la regia), rimane il film che tutti volevano: da prime time su Italia 1.

VOTO: 5

martedì 24 luglio 2007

Recensione: C.R.A.Z.Y


TITOLO ORIGINALE
: C.R.A.Z.Y
NAZIONE
: Canada
GENERE:
Thriller
DURATA
: 127 min.
DATA DI USCITA
: 2005
REGIA:
Jean-Marc Vallèe
CAST:
Michel Cotè, Marc Andrè Grondin, Danielle Proulx

Natali in casa Banlieu, dal 960 al 1980, tra un padre amante dei vinili, una moglie che lo sopporta benevolmente e una nidiata (cinque figli che compongono con le loro iniziali l'acronimo del titolo, perso in prestito da una canzone della stessa Cline: e quindio Christian, Raymond, Antoine, Zachary e Yvan) che si differenzia per aspirazioni, caratteri, taglio di capelli, urla e silenzi, sensibilità marcate e totale assenza di sguardo sul mondo. Una storia di emancipazione, uno spaccato canadese versante francese, che strizza l'occhio soprattutto al cinema di Truffaut, gonfio di icone pop, David Bowie e Bruce Lee attaccati sui muri e sulle porte, Pink Floyd e Rolling Stones, droga sesso e rock'n'roll e, soprattutto, un'ambiguità sessuale che tormenta fin da bambino il più inquieto dei cinque eredi, Zachary, interpretato dall'attore Marc Andrè Grondin, autentico sosia del primo Keanu Reeves. Jean-Marc Vallèe ha il merito di scrivere bene il copione e di costruire personaggi che si fanno subito amare o odiare, ma lascia sul campo qualche pecca di regia, qualche minuto di troppo e una sensazione di grande occasione mancata.

VOTO: 6 1/2

lunedì 23 luglio 2007

Recensione: Basic Instinct 2


TITOLO ORIGINALE
: Basic Instinct 2
NAZIONE
: USA
GENERE:
Thriller
DURATA
: 113 min.
DATA DI USCITA
: 2006
REGIA:
Micheal Caton Jones
CAST:
Sharon Stone, David Morrissey

Katherine Trammel, quattordici anni dopo: più pericolosa che mai, forse; più vorace che mai; più spudorata ed esibizionista di quanto non apparisse nel primo film della sua "saga". Se là si esibiva in un unico, "storico" accavallamento di gambe, in Basic Instinct 2 va in giro, anche in pieno giorno, costantemente abbigliata come una lap dancer al lavoro, con stilletto sado-maso, lacci, spacchi, scollature, strizzature, pezzature che fanno di lei la donna peggio vestita del cinema da più di trent'anni. Sharon Stone è una donna intelligente e bellissima e certamente avrà avuto sostanziosi vantaggi di carriera per tornare a interpretare il suo personaggio più celebre. Peccato che non sembri crederci nemmeno lei, a questa matura pantera e dozzinale americana in trasferta in una delle capitali europee del gusto, Londra; e che pronunci le sue battute, sempre e soltanto allusive, senza mai muovere un muscolo del volto e con il medesimo sguardo. Dopo un pò, nonostante le battute involontariamente ridicole che condivide con tutti gli altri personaggi, tutta la faccenda diventa mortalmente noiosa. Quanto alla regia di Micheal Caton Jones, nonostante si affanni a riprendere la nuova svettante architettura londinese, il tempo sembra essersi fermato alla Soho d'antan e piuttosto posticcia di Scandal.

domenica 22 luglio 2007

Recensione: The Grudge 2


TITOLO ORIGINALE
: The Grudge 2
NAZIONE
: USA
GENERE:
Horror
DURATA
: 95 min.
DATA DI USCITA
: 2006
REGIA:
Takashi Shimizu
CAST:
Sarah Michelle Gellar, Amber Tamblyn, Arielle Kebbel

Ha una bella partenza The Grudge 2, secondo episodio americano della saga iniziata da Takashi Shimizu nel 2002 in Giappone con Ju-On:Rancore e proseguita con Rancore 2: un appartamento anonimo di Chicago, una casalinga, il marito iracondo che reclama la colazione, la donna esasperata che si ribella e, dopo, si siede in silenzio a bere il caffè. Titoli, e poi siamo sbalzati tra le adolescenti civette dell'International High School di Tokyo, decise a entrare con una nuova arrivata robusta e impacciata nella casa maledetta del primo film. A queste due tracce narrative si aggiungono altri personaggi e una terza storia, centrale, imperniata sulla sorella di Sarah Michelle Gellar spedita a Tokyo dalla madre inferma per recuperare la malconcia protagonista di Grudge 1. Per quanto tutte piuttosto risapute e debitrici sia all'horror giapponese che a quello occidentale (dalla consueta doccia ad atmosfere polanskaine), le scene a effetto e i colpi bassi funzionano, sostenuti soprattutto dal raffinato impianto visivo si Shimizu. Peccato che il collegamento tra i singoli episodi sia pretestuoso ed evanescente: la parte ambientata a Chicago (che è la più inquietante e misteriosa) resta sospesa nel nulla.

VOTO: 6 1/2

sabato 21 luglio 2007

Recensione: Underworld Evolution


TITOLO ORIGINALE
: Underworld Evolution
NAZIONE
: USA
GENERE:
Horror
DURATA
: 106 min.
DATA DI USCITA
: 2005
REGIA:
Len Wiseman
CAST:
Kate Beckinsale, Tony Curran

Si dice che Wiseman e gli altri due creatori dell'universo Underworld, Danny McBride e Kevin Grevioux (quest'ultimo anche attore del primo film) avessero già pensato a un sequel, addirittura a un futuro prequel, con l'idea spropositata di creare una saga stile Star Wars ma in chiave horror. La loro mitologia (vampiri e licantropi in chiave postmoderna e in guerra tra loro) è troppo derivativa per incidere sul serio, ma le avventure della vampirella Selene e del suo ibrido amante "lycan" sono abbastanza divertenti. In questo Underworld: Evolution il conflitto di classe tra succhiasangue (aristocratici) e lupi mannari (bruti e schiavi) del precedente episodio sbiadisce; in compenso aumentano il gore, le atmosfere gotiche, il digitale. Selene è ormai un cane sciolto impegnata a risalire alle origini della specie: la sua e quella dei licantropi, generate dal medesimo ceppo maledetto. Girato con troppi rimandi all'estetica dei videogame, Underworld: Evolution è piacevole proprio perchè semplice: il grado zero dell'avventura applicato alla tecnologia cinematografica, amore e guerra che sfidano gli effetti speciali e ti coinvolgono in una storiella in fondo elementare, "evasiva". Incredibilmente bella Kate Beckinsale, protagonista di una "evoluzione" in chiave erotica.

VOTO: 7

Anteprima: Vacancy


TITOLO ORIGINALE
: Vacancy
NAZIONE
: USA
GENERE:
Horror
DURATA
: 95 min.
DATA DI USCITA
: 2007
REGIA:
Nimròd Antal
CAST:
Kate Beckinsale, Luke Wilson, Frank Whaley, Ethan Embry

Mettete una sera di fulmini, acqua, nebbia che sale minacciosa. La vostra auto è ferma al bivio e le mani incollate sul volante vi chiedono di prendere una decisione. Destra o sinistra? Sembra facile, non lo è. In più è maledettamente tardi e l’umidità vi sta intorpidendo il corpo. Un appartamento caldo e una bella doccia ecco quello che ci vuole. E’ una parola… Poi, finalmente, un motel vi appare come la classica oasi nel deserto. Le sue luci al neon stonano con l’ambiente circostante, ma poco importa. Meglio dentro che fuori. Fu questa situazione vissuta dalla giovane promessa degli sceneggiatori di Hollywood, Mark L. Smith in vacanza con sua moglie nel New Messico, a dare il via allo script indiavolato e luciferino di Vacancy. Uscito in America lo scorso aprile, Vacancy in pochissimo tempo è diventato un vero e proprio “caso” di quelli che occupano pagine intere di giornali, riviste e programmi televisivi; di quelli che fanno tendenza insomma. E improvvisamente il motel è tornato di moda. Anche se era meglio di no. Al centro del film, una coppia come mille altre, solo parecchio più sfortunata. Amy (Kate Beckinsale) e David (Luke Wilson) stanno infatti cercando di tirare avanti a pochi mesi dalla morte del loro figlio. La crisi tra loro è palpabile, un viaggetto in cui rigenerarsi e allestire il futuro insieme è quello che ci vuole. Partenza tranquilla, ritorno così così. Tempo di rientrare in città e i due divorzieranno. Sulla strada del rientro, succede qualcosa. David fa una deviazione e i due si allontanano dalla strada principale. Fuori strada, fuori dal tracciato, fuori da ogni cartina. Quando tutto sembra perso, ecco apparire un albergo. Nulla di strano, dunque perché non passarci la notte? Errore capitale di quelli che ti cambiano la vita. Fatto sta che Amy e David entrano, fanno la conoscenza di un tipo strano, Mason ( Frank Whaley), a cui sembra interessare solo l’horror che stanno trasmettendo in tv. Preso possesso della stanza, si rendono conto che qualcosa non va Qualcuno sembra spiarli, e poi quel film pieno zeppo di torture che stanno trasmettendo in tv ha uno sfondo maledettamente simile a quello della loro camera…Per arrotondare i magri introiti derivati dalla sua attività ma anche passatempo preferito dello squallido gestore utilizzare come location, il motel per la realizzazione di snuff movie. In Psyco era Anthony Perkins che si sdoppiava in due e faceva tutto solo, qui la pazzia è dilagante e organizzata capillarmente. Insomma, non sembra proprio esserci scampo e il cliente del motel si avvia a diventare protagonista assoluto dell’ultimo film della sua vita…

(Nelle sale dal 20 luglio)


Recensione: Catacombs


TITOLO ORIGINALE
: Catacombs
NAZIONE
: USA
GENERE:
Horror
DURATA
: 100 min.
DATA DI USCITA
: 2007
REGIA:
Tomm Coker
CAST:
Shannyn Sossamon, Pink, Mihai Ogasanu, Radu Andrei Micu

Parigi città dell’amore? C’è l’hanno (quasi) sempre raccontata così. Tutto ciò in superficie. Perché sotto che succede? E’ vero c’era stato il Luc Besson di Subway a portare la cinepresa nell’underground parigino, ma poi più niente. Almeno fin a quando Tomm Coker, stufo di lavorare ai suoi fumetti, ha deciso di esordire alla regia e di esplorare la Parigi che non conosce nessuno: quella sotterranea. Benintesi, non parliamo di un reportage archeologico, ma di un viaggio nelle viscere di una città che gli scheletri non li ha nella armadio, ma sottoterra.
Ne saprà qualcosa - suo malgrado – la bella Victoria (Shannyn Sossamon), giovane americana che non se la passa troppo bene. Soffre di crisi di panico à go go, tanto da convincere la famiglia a farle fare un bel viaggetto con cui cambiare aria.
Destinazione: Parigi. Qui studia e lavora la sorella maggiore Carolyn (la pop star Pink) che, quando non bazzica la Sorbona, subisce il bizzarro fascino dell’immersione nella Parigi del sottosuolo. E’ qui che scopre, insieme ad un gruppo di scapestrati amici, l’esistenza di numerose catacombe. Ebbene, quale posto migliore per organizzare, lontano da occhi indiscreti, un bel party selvaggio tutto alcol e sregolatezze vari? Victoria non ne vuole sapere di partecipare, ma l’insistenza, si sa, vince spesso. Le cose prendono una brutta piega quando la ragazza, scesa in profondità perde orientamento, amici e strada della risalita. Per trovare infine di fronte a sé una terribile creatura mostruosa…
Più di 300 km di lunghezza, costruzioni risalenti al 1300. Al centro di Catacombs, dunque, un labirinto senza via d’uscita.

venerdì 20 luglio 2007

Recensione: Crash - Contatto fisico


TITOLO ORIGINALE
: Crash
NAZIONE: USA
GENERE: Drammatico
DURATA: 117 min.
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Paul Haggis
CAST: Don Cheadle, Sandra Bullock, Matt Dillon

Crash è un film dove, nell'universo espanso e composito di Los Angeles, tutti si scontrano con tutti: bianchi contro neri, neri contro cinesi, portoricani contro persiani, mariti contro mogli, genitori contro figli, poliziotti contro poliziotti, dove ognuno parla una sua lingua "barbara" e approssimativa rivendicandola come americano, dove ognuno è solo, isterico e guardingo e dove ti trovi a salvare la vita di qualcuno che il giorno prima hai umiliato o a uccidere qualcuno a cui hai salvato la vita. Si ruba per necessità. si uccide per caso, ci si lascia corrompere per rassegnazione. I rapporti, anche quelli più intimi, sono esplosi; ogni personaggio vive nella sua "bolla", che solo casualmente collide e magari si fonde con un'altra. La frase che apre il film, del detective Graham - nero - che si è appena scontrato con l'auto di una cinese e che, come dice la sua compagna latino-americana, ha perso per un momento la realtà, è esplicita: "il contatto fisico. In una città vera si cammina, sfiori gli altri, sbatti contro la gente. Qui a Los Angeles non c'è contatto fisico con nessuno. Stiamo tutti dietro vetro e metallo. Il contatto ci manca talmente che ci schiantiamo contro gli altri per sentirne la presenza". In Crash che è sinuoso e avvolgente come un film di Altman e "umanistico" come un film di Eastwood, ognuno "violenta" qualcun altro non solo perchè ne ha paura o perchè è stasto appena maltrattato da un funzionario nero o da un'infermiera bianca, ma soprattutto per "sentirlo" e per sentirsi, in qualche maniera, vivo. Anche se poi la vita vera la "senti" soltanto quando la restituisci, liberando una donna dal rottame di un'auto o dicendo una frase d'amore a qualcuno a cui non l'hai detta da troppo tempo. L'unico difetto del film di Haggis è che finisce, forse, per sembrare troppo "buono". Ma questa è una conseguenza della sua logica narrativa: non ci sono buoni e cattivi, c'è solo quello che il Caso detta alle nostre nevrosi, nel bene e nel male. Alla fine, quando tutto sembra essersi ricomposto, un nuovo tamponamento e tutto ricomincia, con le inevitabili "casualties of war". Una guerra quotidiana che riguarda tutti, non solo a Los Angeles, ma anche nelle città in cui si cammina e ci si sfiora.

VOTO: 9

giovedì 19 luglio 2007

Recensione: Per sesso o per amore?


NAZIONE
: Italia
GENERE: Commedia
DURATA: 95 min.
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Bertrand Bilier
CAST: Monica Bellucci, Gèrard Depardieu, Jean-Pierre Darroussin

Una prostituta di Pigalle accetta l'offerta di un impiegato che ha appena vinto una grossa somma al Lotto: centomila euro al mese per fargli compagnia. La storia di questa commedia che vorrebbe essere grottesca (ma il grottesco, al cinema, è terreno insidiosissimo) è tutta qui. Girato quasi completamente in interni si poggia su 3/4 personaggi sopra le righe: dall'italiana Bellucci che pare uno spot concentrato di stereotipi del Belpaese (dalla pasta alle romanze d'amore) al Depardieu che indossa raffinati Armani ma è un gangster semirincoglionito, dal travet che però ha un corpo con tutte le sue belle tartarughine al posto giusto e veste alla moda (da scapigliato studiato) alla musulmana laica integrata che traduce la notte per arrotondare e sogna orgasmi con l'ultrasuono. Batute da reality-show si mischiano al saccheggio della lirica italiana, da Verdi a Puccini, e a un delirio autoriale che si permette tutto e il suo contrario, fregandosene del pubblico. Un home movie ad altissimo budget: i soldi della vincita?

VOTO: 4 1/2

mercoledì 18 luglio 2007

Recensione: Il collezionista di occhi


TITOLO ORIGINALE
: See No Evil
NAZIONE: USA
GENERE: Horror
DURATA: 85 min.
DATA DI USCITA: 2006
REGIA: Gregory Dark
CAST: Glen Jacob, Christina Vidal, Steven Vedler

Il regista Gregory Dark viene dal porno eighties (sua, per esempio, la serie semicult di New Wave Hookers), e si vede. Mette in scena come se fossimo ancora a i tempi di Micheal Ninn, tutto flash-cut e velocizzazioni improvvise. E' rimasto un pò indietro, anche nell'ideologia di genere. Il collezionista di occhi sembra un qualunque Kevin Tenney, di sciocchezza sopraffina e talmente trito nell'assunto e nello svuluppo che fa quasi tenerezza. Il wrestler Kane che strappa gli occhi a un nugolo di giovinastri idioti perchè, poverino, da ragazzo ha subito un trattamento poco consono per mano della mamma pazza, è simbolo di un intero filone che continua ad avere numerosissimi fans. E va bene così, meglio di dieci Silent Hill.
Il collezionista di occhi ha zero pretese: solo un menu di piatati truzzi e gory che interessano all'appassionato e basta. Il quale, soddisfatto, gioisce tra un eye-gouging e un telefonino ficcato giù per la gola di una troietta (che deglutisce). C'è anche una tizia che si sfracella il braccio cadendo infilzata per le gambe, per finire sbranata dai cani affamati. Ottima inoltre, la fine della genitrice con le caldane. Il resto non c'è: se la cavano la coppietta semi-lesbica e il più stronzo di tutti; non è che nella cafonaggine generale si tenti un'impennatta di scorrettezza politica?

VOTO: 3

martedì 17 luglio 2007

Recensione: Tu, io e Dupree


TITOLO ORIGINALE
: You, Me and Dupree
NAZIONE: USA
GENERE: Commedia
DURATA: 108 min.
DATA DI USCITA: 2006
REGIA: Anthony e Joe Russo
CAST: Owen Wilson, Kate Hudson, Matt Dillon

Con la traduzione italiana del titolo si perde la rime dell'originale. Ma non fa niente. Fa invece che il doppiaggio rovina la verve di Owen Wilson, ottima faccia (e mente) del cinema contemporaneo, e unico motivo di interesse di un filmetto peggiore di quanto si è disposti a pensare dati i contesti e le aspettitive. I fratelli Anthony e Joe Russo, su sceneggiatura di Mike LeSieur, partono con una misoginia esplicita e preoccupante (Dupree/Wilson e Carl/Dillon non possono "stare assieme" per colpa dell'indisponenza della moglie di quest'ultimo, Molly/Hudson); poi diventano ultratradizionalisti (Molly e Dupree fanno comunella, mentre Carl pensa che l'amico lo tradisca con la moglie); infine celebrano le istituzioni (ovviamente il matrimonio trionfa, nonostante incendi e suoceri ingessati) e l'americanismo del successo individualistico e new age (Dupree diventa portavoce applaudito della fede nelle potenzialità innate di ogni uomo, anche dei più sfigati). Mica male per un prodotto che appare in superficie una "normale" commedia hollywoodiana odierna. Nella "norma". Appunto.

VOTO: 5

Recensione: The Weather Man, l'uomo delle previsioni


TITOLO ORIGINALE
: The Weather Man
NAZIONE: USA
GENERE: Commedia
DURATA: 102 min.
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Gore Verbinsky
CAST: Nicolas Cage, Micheal Caine, Hope Davis

Dave Spritz presenta la rubrica di previsioni meteo per un canale televisivo di Chicago. Figlio di uno scrittore illustre e premio Pulitzer, ha tante cose da mettere a posto nella sua vita. Dal divorzio irrisolto dalla moglie ai problemi della figlia sovrappeso e del figlio sotto pericolosa cura psicologica. Tutti, per primo il padre, lo considerano un immaturo. La svolta potrebbe essere costituita da un nuovo lavoro a New York, alla popolarissima trasmissione Hello America. Gore Verbinsky soffre probabilmente di un complesso di colpa per aver sbancato i botteghini con The Ring e la maledizione della prima luna. Questo The Weather Man ha la pretesa di una riflessione critica sul prezzo del sogno americano ma non riesce a fare a meno di affidarsi all'ennesima narrazione in voce off che spiega fino all'ultimo dettaglio. Il resto la fa il consueto mestiere del gommoso Nicolas Cage, vessato da una serie di sventure fantozziane eppure perfetto nella parte del quarantenne sotto stress costretto ad affrontare il minimo sindacale di autoanalisi. Se non fosse per lui, per Micheal Caine nel ruolo del padre malato e per la colonna sonora di Hans Zimmer, la desolante analogia tra l'imprevedibilità della vita e quella metereologica non sarebbe sopportabile.

VOTO: 5

sabato 14 luglio 2007

Recensione: Eccezziunale veramente, capitolo secondo... me


NAZIONE:
Italia
GENERE: Comico
DURATA: 108 min.
DATA DI USCITA: 2006
REGIA: Carlo Vanzina
CAST: Diego Abatantuono, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso

Il milanista, l'interista, lo juventino. Il film-barzelletta che vive della scatenata verve cientopeciento di Diego Abatantuono torna a grande richiesta di quei fan che hanno (ri)scoperto l'originale in vhs e (da poco) in dvd. E quindi Donato, ex ultrà della Fossa rossonera, dopo vent'anni di esilio a Ibiza, torna a Milano e scopre di avere un figlio nerazzurro. Tirzan, camionista juventino, esce da un coma provocato da una sbandata del suo Tir e ritrova la moglie con un napoletano. E Franco, interista sfigato più che sfegatato, è costretto a una parentesi palermitiana per sistemare delle pendenze con la mafia. Cinematograficamente parlando e guardando, la pellicola è spaventosamente povera, cialtrona, priva di nerbo e ritmo, fotocopia sputata della prima puntata e incapace di sfruttare le succulente (sulla carta) novità del cast, dalla Ferilli a Sconsolata, da Frassica a Sperandeo, da Burruano a Buccirosso, caratteristi di razza sciupati e dimenticati alla stregua dei camei di lusso di alcuni giocatori del Milan (Gattuso, Maldini, Costacurta che diventa Pastacurta, Dida ribattezzato Didinho e via barsporteggiando). Dovremmo farci intimidire dal fatto che il prototipo è un cult movie? Piuttosto, ancora una volta, è giusto ribadire i guasti dei "revisionismi" critici, delle marcoaggiustate all'italiana che sdoganano registi che non sanno mettere una macchina da presa e legittimano operazioni che andrebbero bene giusto in un preserale di Italia 1 o per una terza serata dell'anonima Raidue.

VOTO: 4

Recensione: Fascisti su Marte


NAZIONE
: Italia
GENERE: Commedia
DURATA: 98 min.
DATA DI USCITA: 2006
REGIA: Corrado Guzzanti
CAST: Marco Marzocca, Lillo Petrolo, Andrea Blarzino

Difficile non parteggiare per il grottesco ossimorico di Corrado Guzzanti, difficile però anche non sbadigliare dopo un quarto d'ora. La genesi del lungometraggio Fascisti su Marte è lunga. Ma l'entusiasmo "di lotta" non basta a fare un film. Fascisti su Marte resta dunque uno sketch. Guzzanti gioca di stocco sula passato e sul presente, ma i suoi duelli, anche verbali con l'onnipontente voice over, intasano il ritmo: e Fascisti su Marte non si alza mai. Forse una satira simile funziona meglio in Tv. Forse il genere avrebbe dovuto essere sfruttato con più arroganza consapevole. Il film resta fermo su se stesso, non decolla, Guzzanti sa fare grandi cose, e lo dice una che lo ama e lo segue da anni, ma il film non è un capolavoro, meriterebbe un 5...
Ma una che ha imparato a memoria il Grande Raccordo Anulare cantata da Venditti-Guzzanti non se la sente proprio di bocciarlo :)

VOTO: 6

venerdì 13 luglio 2007

Recensione: Harry Potter e il calice di fuoco


TITOLO ORIGINALE
: Harry Potter and the Goblet of Fire
NAZIONE: USA
GENERE: Fantasy
DURATA: 150 min.
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Mike Newel
CAST: D. Radcliffe, E. Watson, R. Grint, R. Fiennes

I maghi di Hogwarts. Per la prima volta c'è un cambio alla regia, questa volta inglese. Mike Newell il regista di Donnie Brasco, fa sul serio, e intreccia relazioni d'amore, ironia, suspance e naturalmente magia e ottiene un ottimo risultato, si pensa poco e si agisce molto. Straordinarie le scenografie. Carrozze trainate da cavalli alati, draghi, labirinti bui e carnivori, partite di Quiddich tridimensionali. I personaggi sono sempre affabili, primo fra tutti Ron destinato ad essere per Harry quello che Sam è per Frodo nel Signore degli anelli. Il film mantiene il livello dei precedenti e continua ad essere un fantastico spettacolo per la vista. Effetti speciali e scene bellissime (il drago che si arrampica sul tetto della torre è fra le più spettacolari). Niente da dire sul lavoro di Newel, non ha deluso le aspettative dei fans del maghetto, e ci ha regalato un film al quale non si può rimproverare nulla, la lotta fra il bene e il male, indispensabile per le simboliche avventure di Harry Potter, ancora una volta ci tiene incollati alla sedia e ci lascia soddisfatti, pienamente soddisfatti.

VOTO: 8 1/2

Recensione: Firewall - Accesso negato


TITOLO ORIGINALE
: Firewall
NAZIONE: USA
GENERE: Thriller
DURATA: 90 min.
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Richard Loncraine
CAST: Harrison Ford, Paul Bettany, Virginia Madsen

Va bene la chirurgia plastica e i suoi derivati. Va bene che a Holliwood si vive almeno due volte, ma Harrison Ford, nonostante la simpatia per i suoi trascorsi indianajonsiani, è inesorabilmente entrato a far parte della Generazione Inps. E vederlo indaffarato nei panni di un espertone informatico specializzato in sofisticati sistemi informatici di sicurezza nell'ennesimo thrillerone da camera con parenti da portare in salvo, regala soprattutto malinconia. E' come se il vecchio Harry non fosse mai sceso dall'Air-Force One: forse per paura di qualche altro 11 Settembre, forse perchè conscio del suo inesorabile viale del tramonto (almeno per quei ruoli che andavano bene una decina di anni fa). Tra l'altro, spaesato e smarrito, ha persino rifiutato recentemente la parte in Syriana grazie alle quale George Clooney ha vinto l'Oscar, e, naturalmente, ringrazia. Quanto a Firewall, che dire? E' il personaggio che ti aspetti e che Spike Lee (per esempio) si è ben guardato di inserire nel suo ultimo film di rapina Inside Man. Qui il furto è soprattutto ai danni degli spettatori. Almeno quelli (più) esigenti.

VOTO: 4 1/2

giovedì 12 luglio 2007

Recensione: La vera leggenda di Tony Vilar


NAZIONE
: Italia
GENERE: Documentario
DURATA: 95 min.
DATA DI USCITA: 2006
REGIA: Giuseppe Gagliardi
CAST: Peppe Voltarelli, Tony Vilar, Roy Paci

Tony Vilar, al secolo Antonio Ragusa, sarebbe il popolare cantante italosudamericano (argentino, per la precisione) che negli anni 60 fece successo con la versione in spagnolo di Tintarella di luna e con Cuando Calienta el sol (in verità dei Lol Marcelos Ferial). Un lontano cugino, il musicista Peppe Voltarelli dell'ensamble Il parto delle nuvole pesanti, si mette sulle tracce di Vilare dopo la misteriosa scomparsa, e da Buonos Aires segue le sue tracce fino a New York, in quell'enclave americano-siculo-calabrese che va dal Bronx a Little Italy passando per Brooklyn. Dicesi mockumentary quel genere che finge di essere "documento" e invece ti prende un pò giro. Il film di Giuseppe Gagliardi è interessante, ma finisce per menare il can per l'aia nella peregrinazione di Peppe tra gli amici "dago". Il tono è da canzone dei Bluebeaters: brioso ma esile.

VOTO: 6

Recensione: Trappola in fondo al mare


TITOLO ORIGINALE
: Into The Blue
NAZIONE: USA
GENERE: Azione
DURATA: 90 min.
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: John Stockwell
CAST: Jessica Alba, PAul Walker, Scott Caan

Jared e Samantha sono due sani ragazzoni sportivi e se la spassano nell'allegra povertà delle calde Bahamas. Lui sta rimettendo in sesto una vecchia barca, lei è contenta del suo lavoro come esperta di squali in un resort. Jared invece culla il sogno di recuperare uno dei tesori nascosti di cui parlano i libri sui pirati sei e settecenteschi. Quando Bryce, oggi avvocato e ieri compagno di nuotate di Jared, arriva a New York con l'amichetta Amanda, i quattro si mettono a fare ricerche in profondità e trovano un aereo affondato con un carico ingente di droga. E' l'inizio dei guai, perchè qualcuno ci ha già messo gli occhi sopra. Da un esperto di teen movie e di riprese marine come John Stockwell era più che legittimo aspettarsi buone scene subacquee e un'atmosfera a giusta temperatura balneare, una calibrata dose di avventura e bullismo. Un lucente film promozionale dell'immersione libera, disciplina sub da praticare senza la muta. E infatti su tutto stanno i corpi atletici e abbronzati e innamorati di Jessica Alba e Paul Walker, il bello di Fast & Furious

mercoledì 11 luglio 2007

Recensione: Hostel


TITOLO ORIGINALE
: Hostel
NAZIONE: USA
GENERE: Horror
DURATA: 90 min.
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Eli Roth
CAST: Jay Hernandez, Derek Richardson, Eythor Gudjonsson

Non propriamente uno spottone per l'interrail Hostel, dato che i tre giovani turisti in questione, un islandese e due americani, raggiungono un ostello in Slovacchia e dopo una notte di sesso sprofondano, insieme ad altri coetanei, in un abisso di torture e morte. Horror da prendere con le pinze questo diretto da Eli Roth e prodotto da Quentin Tarantino, che cita se stesso facendo trasmettere da una Tv Pulp Fiction in slovacco. La cautela è d'obbligo ogni qualvolta lo spettacolo riservi dosi massicce di violenza, non mediata dall'ironia e neanche dall'esagerazione splatter. Al regista, che ha studiato per gli armamentari di tortura non la Santa Inquisizione ma le fotografie di Abu Ghraib, interessano la realtà e la Storia, con le loro efferratezze e i loro orrori, se è vero che dal punto di vista iconografico si va dai campi di concentramento all'estetica neofascista, che torna così preponderante, nonostante tutto, in Europa e altrove. Come poersi di fronte ad Hostel? Con qualche ragionevole dubbio ma con la consapevolezza che Roth non sia in cerca di facili soluzioni. Il suo protagonosta Jay Hernandez, che misteriosamente parla tedesco, alla fine si veste come un aguzzino e applica la legge del taglione. Ma diventa come "loro"? Non c'è speranza? La risposta resta a mezz'aria, e forse in questa ambiguità che ti costringe alle domande sta il valore politico del film.

VOTO: 7

Recensione: Il Codice Da Vinci


TITOLO ORIGINALE
: The Da Vinci Code
NAZIONE: USA
GENERE: Thriller
DURATA: 149 min
DATA DI USCITA: 2006
REGIA: Ron Howard
CAST: Tom Hanks, Audrey Tautou, Ian McKellen, Paul Bettany, Alfred Molina

Forse sono una delle poche persone al mondo che non ha letto Il Codice Da Vinci e vedendo il film mi è venuta voglia di leggerlo. Perchè credo che il libro di Dan Brown sia molto meglio dell'adattamento di Ron Howard, che è macchinoso, "telefonato" e addirittura ingenuo nel suo tentativo di ovviare a questi difetti hitchcockianamente i tempi della narrazione (quattro quinti del film si svolgono in 24 ore), sparando una musica incessante ed enfatizzando le sequenze d'azione, a scapito, immagino, della simbologia, dell'enigmistica, e della vera e propria caccia al tesoro a ritroso nella Storia che la morte del professor Jacques Saunière innesca. La "compressione" della sceneggiatura era certamente inevitabile; ma un film nel quale sono i personaggi a dover spiegare verbalmente e incessantemente ogni passaggio logico, ha qualche problema a livello di invenzione immaginaria. Come un film nel quale i veri "cattivi" dovrebbero rivelarsi nel corso delle scene finali e invece sono individualbili a colpo d'occhio, a pochi minuti dalla loro apparizione in scena (seguite il vostro istinto e li azzeccherete tutti). Il problema fondamentale tuttavia, è un altro: si chiama "suspension of disbelief", sospensione dell'incredulità, indispensabile per ogni storia che abbia forti agganci con il fantastico, e addirittura quasi un "postulato" della fascinazione cinematografica tout court. Qui, non ci si credi mai. Non si crede a Tom Hanks con quei capelli un pò lunghi sul collo, sciatti e mal lavati, che dovrebbero fare, immagino, "intellettuale" o magari "cavaliere d'altri tempi"; non si crede a Jean Reno poliziotto integerrimo; men che meno si crede ad Audrey Tautou come "all'ultima discendente vivente di Gesù Cristo". Chi? Amèlie? La battuta sarebbe stata imbarazzante per chiunque, ma l'assoluta mancanza di fascino personale e di alchimia reciproca dei due protagonisti la rende addirittura atroce. Gli unici che funzionano sono la McKellen (che ha lo humour e l'ambiguità necessari), Paul Bettany (anima persa che pare uscita da una "passione" di George Romero) e Alfred Molina (prelato perfetto e "duplice"). Un pò pochino per il blockbuster dell'anno.

VOTO: 5

martedì 10 luglio 2007

Recensione: 40 anni vergine


TITOLO ORIGINALE
: The 40 Year Old Virgin
NAZIONE: USA
GENERE: Commedia
DURATA: 115 min
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Judd Apatow
CAST: Steve Carrell, Katherine Keener, Paul Rudd

E' possibile che in parte sia colpa del doppiaggio, che certamente non rende in pieno l'umorismo verbale di Steve Carrel, astro nascente della commedia televisiva (The Daily Show, The Office) e cinematografica made in Usa. Ma di sicuro 40 anni vergine ha anche difetti "originari": episodico, scollato, montato a casaccio, volgare ma non abbastanza (cioè, il film non ha il millimetrico gusto della provocazione sporcacciona del compianto John Belushi e della serie American Pie), improvvisamente buonista, diretto con una piattezza che certamente gli americani non si permettono più in televisione. Volendo, la storia del commesso di mezza età ancora vergine che i colleghi tentano di "educare" poteva offrire una quantità di spunti comici, purchè fossero sviluppati in una narrazione articolata e minimamente inventiva; ma la sceneggiatura ha materiale sufficiente, tutt'al più, per un mediometraggio; e infatti si scopre dal pressbook che il tutto nasce da una sketch di successo di alcuni anni fa di Carrell. Uno sketch. Due sketch. Tre sketch. Dopo venti minuti, la noia dilaga.

VOTO: 4 1/2

Recensione X-Men III


TITOLO ORIGINALE
: X-Men The Last Stand
NAZIONE: USA
GENERE: Fantasy
DURATA: 93 min
DATA DI USCITA: 2006
REGIA: Brett Ratner
CAST: Hugh Jackman, Halle Berry, Ian McKellen

Già presentato come l'ultimo capitolo della trilogia, nonostante il finale lasci qualche porta aperta, questo X-Men III conferma che la riduzione in cinecomics del classico Marvel è nata sotto una buona stella. Certo, l'epilogo beneficia della maturità dei primi due film di Bryan Singer ma Brett Ratner, da illustratore qual è, sa coinvolgere quanto basta. Jean Grey resuscita e diventa onnipontente. Subito Magneto cerca di arruolarla per l'attacco finale al cuore degli homo sapiens, che nel frattempo si sono dotati di una "cura" in carne ed ossa che può guarire i mutanti. Il problema è: sicuri che i super-poteri siano una malattia? Il limite del film sono i troppi personaggi. Le new entry Angelo e Bestia, due degli X-Men originari, meritavano più spazio. Detto questo, è da schizzinosi inorridire di fronte a un iperteconologico "pastiche" che è esattamente ciò che vuole essere: un divertente fumettone. Anzi, Hollywood dovrebbe farne più spesso di film così, con effetti speciali perfettamente calati nella fisicità delle situazioni come si vede bene nella notevole sequenza di morte di Xavier. Si chiude con X-Men III una trilogia che dimostra come il rapporto tra settima e ottava arte (quella in sequenza) possa essere fecondo.

VOTO: 6

Recensione: Saw 2

TITOLO ORIGINALE: Saw 2
NAZIONE: USA
GENERE: Horror
DURATA: 93 min
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Darren Lynn Bousman
CAST: Donnie Wahlberg, Shawnee Smith, Tobin Bell

Torna Jigsaw, più diabolico che mai. Rinchiude un gruppo di persone in una casa piena di micidiali trappole e le sfida a uscirne prima di schiattare. Uno stolto poliziotto cerca di bloccarlo. Trama ridotta all'osso, dialoghi "da caserma", sceneggiatura sapiente ma tutta concentrata sull'invenzione dei congegni di morte tra i quali una insostenibile filiera di siringhe. Come nei fumetti di Diabolik, dove contano solo trucchi e marchingegni. Saw 2 ha fatto un sacco di soldi, sfama evidentemente una fame di emozioni forti, sempre più forti, ma ha un sottofondo nichilista che devasta. Nessuna speranza, l'orrore si rigenera, nessuna morale, solo immagini malate. Il film è costruito con furbizia da Darren Lynn Bousman che scrive e dirige con un occhio al meccanico citazionismo dell'horror anni 90 (quanti danni, Scream!) e un altro all'immaginario turbato dei tempi che corrono. La cosa più bella, con buona pace del Codacons, è il manifesto, con le dita mozzate praticamente identiche, per prospettiva e dimensioni, alle Torri Gemelle. Questo a dimostrazione che l'horror, consapevolmente o meno, resat il genere più adatto a riflettere il male che pervade il mondo. Con il suo sadismo, Saw 2 è tutt'altro che innocuo. Lo si può apprezzare a patto che non si faccia finata di niente.

VOTO: 6

lunedì 9 luglio 2007

Recensione: Scary Movie 4

TITOLO ORIGINALE: Scary Movie 4
NAZIONE: USA
GENERE: Commedia
DURATA: 83 min
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: David Zucker
CAST: Anna Faris, Regina Hall, Craig Bierko

La struttura è nota: comicità a sfondo sessuale e scatologico, recitazione sopra le righe, camei ironici (Bill Pullman e Micheal Madsen tra gli altri) riferimenti alla politica e allo show businnes, sketch ricalcati su scene di successi al botteghino. Qui, dopo un bree prologo, con comparsata della stella del basket Shaquille O'Neal, la parodia (letterale) è sopratuttto quella di La guerra dei mondi: Craig Bierko è un tontissimo e triviale Tom Cruise, e chi odia la smorfiosaggine di Dakota Fanning verrà ricompensato. Ma anche la comunità idiota di The village e la seriosità di Saw: l'enigmista e The Grudge. Nessuno è risparmiato: nè Charlie Sheen (ucciso da un'indigestione accidentale di Viagra), nè un Micheal Jeckson che avvicina bambini soli. Nè il presidente Bush (Leslie Nielsen che ripete la situazione reale vista in Fahrenheit 9/11) nè gli omosessuali, omaggiati da una versione black di Brokeback Mountain. E neppure l'intoccabile Clint: finalmente qualcuno ha osato dissacrare il melodrammatico incidente sul ring di Million Dollar Baby con una serie a catena di rotture di collo. Gran finale (non è un peccato svelarlo dato che il film è un patch-work senza prograssione narrativa) affidato, significativamente, alla risata di una pazzo: Tom Cruise che festeggia in diretta televisiva il suo amore per la Holmes. Siamo sicuri che ci sia ancora da ridere?

VOTO: 7

Recensione: L'Era glaciale 2

TITOLO ORIGINALE: Ice Age: The Meltdown
NAZIONE: USA
GENERE: Animazione
DURATA: 91min
DATA DI USCITA: 2006
REGIA: Carlos Saldanha

Uno scoiattolo con una ghianda si inerpica su per una parete ghiacciata, la perde, la riprende, resta appiccicato con la lingua al ghiaccio (come Jeff Daniels in Scemo e più scemo), arriva in cima, cerca di seppellire il suo tesoro, una crepa si apre lungo tutta la montagna e l'acqua inizia a zampillare: è iniziato il disgelo. Si apre con Scrat (lo scoiattolo dalle parti del disgraziatissimo e isterico Will Coyote) L'Era glaciale 2, nel quale, a coppie, a gruppi, a branchi, tutte le razze della Terra (tranne gli uomini, assenti nella seconda avventura e, d'altra parte, erano i pià statici e muti della prima) si muovono verso unìipotetica "Barca" che sta per salpare e portare tutti in salvo dall'inevitabile inondazione che sommergerà il pianeta. Echi dell'Arca di Noè e guizzi della cattiveria di Tex Avery, surreali divagazioni nel musical alla Busby Berkeley e un balletto di raro equilibrismo in bilico su un cumulo di picchi che stanno precipitando: tutto si mescola nell'emigrazione della bizzarra, multietnica "famiglia" composta dal mammuth, il bradipo, la tigre e arricchita da una mammuth fulva che si crede (e si comporte come) un opossum e, quando scopre chi è, va in crisi di indentità e dai suoi due "fratelli", veri opossum, scoppiati e dispettosi. Più Scrat, naturalmente, il cui spazio si è molto allargato. Più divertente del primo, con una narrazione che è un puro pretesto, come accadeva nei Cartoons Warner dell'epoca d'oro.

VOTO: 8

Recensione: Fragile

TITOLO ORIGINALE: Fragile
NAZIONE: USA
GENERE: Horror
DURATA: 100 min.
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Jaime Belaguerò
CAST: Calista Flockhart, Richard Roxburgh, Elena Anaya

I bambini di un ospedale psichiatrico si fanno male senza un perchè, e l'incredulità degli adulti, medici e infermiere, ritarda il loro trasferimento. La nuova arrivata Calista Flockhart, ha un tragico passato da dimenticare e quindi è pronta a redimersi salvando i piccoli da una terribile minaccia. Il fantasma della malasanità si muove infatti con passo cingolante, ha faccia da strega e strategia da terrorista distruttore. Il catalano Jaime Belaguerò sceglie una ghost story non particolarmente originale e per renderla più sensazionale la riempie di spezie, vale a dire rumori improvvisi, presenze e colpi bassi (come le ossa dei piccini che si spezzano). Il peperoncino pizzica ma accompagna il nulla e, nonostante le rivelazioni finale in stile horror giapponese, il retrogusto resta stimolato ma mai appagato. Un raro esempio di film che è il suo titolo: fragile. Sopra le righe la prova di Flockhart, perfettamente in tono con il resto.

VOTO: 4

domenica 8 luglio 2007

Recensione: Syriana

TITOLO ORIGINALE: Syriana
NAZIONE: USA
GENERE: Drammatico
DURATA: 113 min.
DATA DI USCITA: 2005
REGIA: Stephen Gaghan
CAST: George Clooney, Matt Damon, Jeffrey Wright

Un puzzle: un maturo agente della Cia, un giovane esperto di problemi energentici, un principe orientale riformatore, un paio di avvocati americani ammalati di cinismo, due umili lavoratori petroliferi e due potenti petrolieri sono solo alcuni dei personaggi che intrecciano i loro percorsi nel complicatissimo affresco tratteggiato da Stephen Gaghan (regista e sceneggiatore) e da George Clooney e Steven Soderbergh (produttori e il primo anche interprete) in Syriana. Ispirato a La disfatta della Cia, scritto dall'ex agente Robert Bear (sul quale è costruito il personaggio di Clooney), Syriana si sposta di continuo da un episodio all'altro, da una location all'altra (da un non precisato paese del Golfo, attraverso mezza America a un pezzo di dorata Svizzera, a Teheran e Beirut), dalla politica alla finanza allo spionaggio, tessendo una tela della quale è molto difficile individuare le singole connessioni ma che appare inestricabile e, soprattutto, ineludibile. Film non marcato dalla paranoia (com'erano quelli degli anni 70 sui servizi segreti), ma piuttosto dalla sensazione che ormai questo "risiko" planetario non possa essere più fermato nè dalla giustizia, nè, probabilmente, dalla politica. Syriana è un film ostico, poco o nulla comprensibile, perciò addirittura noioso. Ma, nella sua precisa volontà di mettere in scena un gioco oscuro al quale la gente, i cittadini di qualsiasi paese del mondo, non saranno mai chiamati a partecipare. E' un film giusto.

VOTO: 7